Mario Martone apre la stagione del San Carlo con la Medea di Cherubini: una regia che guarda al mito tra pathos e classicismo
Le scene di Carmine Guarino e i costumi di Daniela Ciancio accompagnano una lettura pensata per inserirsi con forza nel grande palcoscenico napoletano e nella storia della tragedia classica, con date previste dal 3 al 16 dicembre.
La scelta di Cherubini — compositore che, pur meno frequentato del repertorio verdiano o mozartiano, offre una tensione drammatica e orchestrale di grande potenza — si sposa con la sensibilità di Martone per i grandi tableaux teatrali: un’opera nella quale il mito, la vendetta e la sofferenza individuale diventano occasione per mettere in scena anche conflitti sociali e politici.
La trama segue da vicino il mito: Medea, tradita da Giasone che la abbandona per sposare Glauce, figlia del re Creonte, si ritrova sola, rifiutata e cacciata. Ma in Cherubini la vicenda non è semplice melodramma: è dramma psicologico, costruito attraverso musica serrata, recitativi intensi e arie incandescenti. La protagonista attraversa una parabola emotiva spaventosa: dall’implorazione alla furia, dal dolore alla vendetta, fino all’atto estremo che ha consegnato Medea alla leggenda nera della storia del teatro.
Musicalmente, Cherubini cesella una partitura di straordinaria modernità: orchestra vigorosa, tinte scure e un ruolo vocale impegnativo che richiede una vera attrice musicale, capace di passare dalla fragilità alla furia con la stessa credibilità.
Rispetto alla prima storica versione, sul palcoscenico del Lirico napoletano sarà portata in scena la versione che Carlo Zangarini tradusse in italiano per la rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano del 30 dicembre 1909 e diventata famosa grazie all'indimenticabile e sublime interpretazione di Maria Callas del 1953.
Il percorso di Mario Martone e il grande amore per la lirica
Mario Martone è infatti noto al grande pubblico come regista di cinema e teatro — autore di film e spettacoli pluripremiati e figura di riferimento del teatro napoletano (fondatore del gruppo Falso Movimento e poi di Teatri Uniti) — ma da anni ha costruito una carriera solida anche come regista d’opera, alternando allestimenti per le grandi istituzioni italiane produzioni che hanno spesso diviso critica e pubblico per la loro cifra interpretativa. La sua attività in campo lirico è tracciata nei cataloghi teatrali e nelle cronache specialistiche: Martone porta sul palcoscenico operistico gli strumenti del regista di prosa e del cineasta, privilegiando lunghe scene d’insieme, una cura del “quadro” scenico e una lettura che non teme di reinterpretare il contesto di un’opera per renderla più vicina ai temi contemporanei.
Martone ha inoltre lavorato spesso con il Rossini Opera Festival di Pesaro, firmando spettacoli che hanno contribuito a riscoprire e valorizzare il repertorio meno noto del compositore pesarese. Le sue regie rossiniane si distinguono per un’attenzione al ritmo teatrale e per un uso delle scenografie dinamico, che dà vita a spazi continuamente trasformati in funzione della musica.
Le dichiarazioni e la poetica registica
In tutta la sua attività legata all'opera, come emerge anche dalle sue dichiarazioni nelle interviste e negli incontri con la stampa, Martone ha spesso ribadito la sua convinzione che la lirica debba essere considerata un’arte viva, capace di parlare al presente. Per lui, il regista non è un semplice illustratore della partitura, ma un interprete che deve saper creare un dialogo tra il testo musicale e lo spettatore contemporaneo. Ha sottolineato più volte di non voler mai tradire lo spirito delle opere, ma al tempo stesso di volerle sottrarre a una dimensione museale.
Una prospettiva, che, riflettendo la sua lunga esperienza con la compagnia teatrale "Falso Movimento" e con i suoi film, ha reso i suoi allestimenti riconoscibili e spesso discussi.
Martone al lavoro sul mito: quale Medea aspettarsi
Torndando quindi alla regia, dalla descrizione ufficiale e dalle prime interviste emerge l’intenzione di Martone di collocare la tragedia in uno spazio drammatico molto concreto — la «scena» come luogo in cui si scontrano passione privata e ordine sociale — senza rinunciare a immagini forti e a un uso scenico che privilegia la fisicità degli interpreti e la presenza scenica del coro. In questo senso, la produzione sembra pensata per coniugare rispetto per la partitura e ricerca visiva: due elementi che hanno caratterizzato spesso l’approccio di Martone all’opera.
Per il pubblico napoletano e per chi segue Martone da tempo, la Medea al San Carlo sembra un punto d’incontro fra la sua cifra visiva — il grande quadro teatrale — e un tema antico che parla al presente: la vendetta, l’esclusione, il conflitto fra desiderio individuale e norme sociali. Con un cast di livello internazionale e la bacchetta di Riccardo Frizza, la produzione si propone di restituire a Cherubini una voce potente sul grande palcoscenico italiano, inserendola nella lunga tradizione del teatro napoletano ma con uno sguardo contemporaneo.
La Medea di Martone al San Carlo si preannuncia anche come un’occasione per vedere come una poetica maturata nel teatro e nel cinema si misura con un caposaldo del melodramma. Chi conosce Martone sa che può aspettarsi immagini forti, corpi in scena intensi e una proposta che chiede al pubblico di mettersi in gioco. Per gli altri, sarà l’opportunità di scoprire un regista che, pur dividendone spesso la platea, ha saputo rendere visibile il teatro come spazio di domande e di conflitti vivi.

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