Tito Schipa, il tenore del sorriso: un mito tra voce, cinema ed eleganza



Il 27 dicembre, come data, torna spesso quando si parla di Tito Schipa. Un'affascinante e controversa attribuzione anima il giorno della sua nascita.  Per molti biografi Raffaele Attilio Amedeo detto Tito Schipa sarebbe nato a Lecce, in vico Penzeni 6, il 2 gennaio  1889.  
Riflettendo suila documentazione a nostra disposizione, ci si rende conto che probabilmente lo stesso Schipa, come accade a tanti artisti del suo tempo, contribuì a rendere il mistero più fitto. Una nascita avvolta nell’incertezza, quasi un presagio di una carriera giocata più sul fascino e l'eleganza della indefinizione piutto  che su una forma dalla forza artistica preponderante, dichiarata.

Schipa  infatti non fu mai un tenore “di volume”.  Tra i tanti  appellativi quello di tenore di grazia sembra meglio avvicinarsi al reale spessore vocale dell'artista. 
La sua voce era un miracolo di misura, di fraseggio, di controllo del fiato. Un canto che sembrava parlato, scolpito sillaba per sillaba. In un’epoca dominata da squilli eroici, lui riuscì ad imporre un’altra idea di belcanto: intima, seduttiva, moderna. 

In molti pensano che fu questo a renderlo unico e, inizialmente, anche discusso.

La carriera si sviluppò rapidamente tra l’Italia, l’America Latina e soprattutto gli Stati Uniti. Al Metropolitan di New York divenne una presenza stabile e amatissima. Lì consolidò un repertorio che sembrava cucito su di lui: Donizetti, Massenet, Puccini affrontati con un’attenzione quasi ossessiva alla parola e al fraseggio.

Accanto al teatro lirico, Schipa ebbe anche una significativa esperienza cinematografica, spesso dimenticata. Tra gli anni Trenta e Quaranta fu protagonista di numerosi film musicali, soprattutto in Italia. Il cinema gli offrì una nuova dimensione espressiva: la recitazione ravvicinata, il gesto minimo, il sorriso malinconico. Film come “Chi è più felice di me” o “Vivendo così” contribuirono a renderlo popolarissimo anche presso un pubblico non strettamente operistico.

Le sue interpretazioni restano un punto di riferimento assoluto. Nemorino nell’“Elisir d’amore” è forse il suo ritratto più celebre: ingenuo, malinconico, umanissimo. Werther fu un’altra creazione memorabile, tutta giocata su mezze voci e sfumature psicologiche.
Determinanti furono alcuni incontri. Primo fra tutti quello con Giacomo Puccini, che intuì immediatamente la raffinatezza del suo canto. Importante anche il rapporto con direttori e maestri di canto che ne compresero la natura, evitando di forzarne lo strumento. Schipa ebbe l’intelligenza rara di non tradire mai se stesso.

Essere considerato l’erede artistico di Enrico Caruso fu al tempo stesso un onore e un equivoco. Schipa non aveva nulla del titanismo carusiano, ma ne raccolse l’eredità più profonda: la centralità della parola, l’immediatezza emotiva, il legame diretto con il pubblico. Non lo sostituì, lo continuò in un’altra direzione.

I soprannomi raccontano bene il personaggio: “il tenore del sorriso”, “il poeta della voce”, “il signore del legato”. Etichette che rendono giustizia a un artista che fece dell’eleganza una scelta estetica e morale.

Opera, cinema, eleganza, Tito Schipa resta oggi una lezione di stile, un modello difficile da imitare per  potenza e per intelligenza musicale.  


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